venerdì 30 novembre 2012

Una vittoria per la pace

Il 29 Novembre 1947 la risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU approvò la spartizione della Palestina sotto mandato inglese in uno stato ebraico (che il 14 Maggio 1948 avrebbe proclamato l’indipendenza assumendo il nome di Medinat Yisrael = Stato d’Israele) ed uno stato arabo (che non è mai nato).

Il 29 Novembre 2012, 65 anni dopo, l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato il cambiamento della Palestina da semplice “Osservatore” a “Stato Osservatore non membro” [il testo ancora non ufficiale della risoluzione, il commento del Segretario Ban Ki Moon], diventando quasi il “certificato di nascita” dello stato palestinese.

L’atteggiamento del movimento LGBT nei confronti di Israele e Palestina corrisponde a quello di gran parte dell’opinione pubblica mondiale: i palestinesi sono oppressi dagli israeliani, e gli israeliani debbono smetterla; l’argomentazione proposta da molte persone legate alla destra israeliana secondo cui la nascita di uno stato palestinese significherebbe regalare uno stato all’omofobia non né credito né senso.

Non ha credito perché, appunto, il movimento LGBT sostiene i palestinesi e la loro ambizione ad uno stato che debba esistere accanto allo stato d’Israele (evito accuratamente la locuzione “stato ebraico”, perché per buona parte degli israeliani “ebraico” è lo stato che privilegia gli ebrei e discrimina i non ebrei, non semplicemente uno stato in cui la maggior parte degli abitanti è ebrea e si vuol creare una versione ebraica della civiltà contemporanea); non ha senso perché non è mai accaduto che l’omofobia fosse un motivo per impedire ad uno stato di esistere – nemmeno l’Italia meriterebbe di esistere, usando questo metro di giudizio.

L’omofobia palestinese è un problema che dovrà essere affrontato (così come l’antisemitismo palestinese) – ma non si deve pensare che il perdurare dell’occupazione israeliana della Palestina renda alle persone LGBT del luogo la vita più facile, anzi: è stato notato che dal 2000 i servizi segreti israeliani ricattano i palestinesi gay per costringerli a fare le spie (vedi qui), per cui un palestinese gay, prima ancora di essere considerato un “pervertito”, viene sospettato di essere una spia israeliana.

Né lo stato d’Israele è particolarmente generoso verso le persone LGBT che non sono ebree: un ebreo può immigrare in Israele e diventare cittadino israeliano quando vuole, senza bisogno di documentare altro che il proprio essere ebreo; ma per chi non è ebreo stabilirsi in Israele è un colossale problema, tanto è vero che dal giorno della sua nascita Israele è il paese del mondo meno generoso nel concedere asilo politico.

Secondo quest'articolo (pubblicato su un giornale di destra), tra il Gennaio 2008 ed il Maggio 2011, Israele ha approvato solo 9 (diconsi “nove”) domande di asilo politico su diverse migliaia; la Clinica per i Diritti del Profugo della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Tel Aviv ha scritto un documento abbastanza feroce in proposito.

Il ministro dell’interno israeliano Eli Yishai ritiene la campagna contro gli “infiltrati” della stessa gravità di quella condotta da Netanyahu contro il nucleare bellico iraniano – questo minaccia l’esistenza fisica dello stato d’Israele, quelli la sua identità come stato ebraico. E la legislazione e la giurisprudenza israeliane sull’immigrazione sono più feroci di quelle italiane, ad onta del precedente governo Berlusconi.

Queste persone e questi comportamenti sono un prodotto dell’occupazione: le uniche persone disposte ad opprimere un popolo per 45 anni sono quelle pronte a dividere il mondo in “noi” e “loro”, “eletti” e “reietti”, ed a pretendere che le regole della civile convivenza siano pervertite a favore della loro causa.

La fine dell’occupazione non restituirà solo la dignità ai palestinesi, ma stabilizzerà inoltre la democrazia israeliana; se Israele ha dovuto incassare quella che è una sonora sconfitta, anche se soprattutto simbolica, è perché nessun paese al mondo ormai si fida più della volontà del governo israeliano di por fine all’occupazione.

E qualche giorno prima della risoluzione ONU ci sono state le primarie del Likud, il partito di Benyamin Netanyahu ed Avigdor Liberman, in cui hanno vinto a man bassa gli estremisti di destra, ed è stato candidato alla Knesset (il parlamento israeliano) Moshe Feiglin, un gaglioffo a cui la Gran Bretagna ha vietato di metter piede nel proprio paese per istigazione all’odio razziale - il giorno in cui la Gran Bretagna sottoscriverà gli accordi di Schengen, il bando si estenderà automaticamente a tutti i paesi membri!

Obama ha voluto dimostrare agli israeliani che il suo paese è sempre dalla loro parte, ma l’UE, oltre ad imporre alle imprese israeliane che si trovano nei territori occupati di marchiare la provenienza delle loro merci in modo da distinguerle da quelle prodotte aldiquà della Linea Verde, sta creando un elenco dei coloni particolarmente virulenti ai quali vietare l’ingresso nell’UE.

Abba Eban diceva che i palestinesi non perdevano occasione di perdere l’occasione; ora sarebbe costretto a dir questo dei suoi compatrioti, perché occasioni di chiudere il conflitto in condizioni migliori di oggi Israele ne ha avute tante, ed ora si trova costretto a ricominciare le trattative in condizioni di sempre maggiore isolamento.

È un bene che l’Italia abbia votato sì a questa risoluzione ONU; col precedente governo Berlusconi, che voleva compensare la compressione dei diritti civili delle minoranze con l’investitura da parte di un sempre più screditato governo israeliano, probabilmente ci saremmo limitati all’astensione, come la Germania, che ha comprensibilmente sempre paura di far la figura dell’antisemita.

Raffaele Ladu

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