martedì 9 agosto 2011

Il boicottaggio ha impedito il pinkwashing

In questa pagina web:
è pubblicato un comunicato congiunto dell'Organizzazione Internazionale dei Giovani e degli Studenti LGBT e dell'Organizzazione Giovanile Gay israeliana, con il quale si annuncia il ritiro della candidatura di quest'ultima ad ospitare l'Assemblea Generale IGLYO nel Dicembre 2011 - qui si aggiunge che l'assemblea si terrà il 17 Ottobre 2011 ad Amsterdam.

La proposta di tenere tale assemblea in Israele suscitò ferocissime polemiche da parte dei palestinesi e dei loro sostenitori, i quali avevano visto in quest'iniziativa una sorta di "pinkwashing", ovvero un tentativo di risollevare la declinante immagine di Israele attirando l'attenzione sulla sua "gay-friendliness" (molte cose che le persone LGBT danno per scontate in Israele noi in Italia ce le sogniamo ancora) per distrarla dalle sue politiche oppressive.

Le pressioni sono state molto forti, ma forse non avrebbero raggiunto lo scopo se non ci si fosse messa di mezzo la Knesset, il parlamento monocamerale israeliano, che ha approvato la cosiddetta "legge sul boicottaggio", che permette a chiunque si ritenga danneggiato da un qualsiasi discorso che possa aver indotto altre persone a boicottare Israele od i suoi prodotti, a chiedere un risarcimento danni "esemplare", cioè senza neppure la necessità di provare che il danno ci sia stato davvero.


La legge ha suscitato ferocissime polemiche in Israele, ed anche nella Diaspora, nonché le (timide) proteste del Dipartimento di Stato USA - e non sono stati solo i polemisti di sinistra (ovvio bersaglio della norma) a protestare, ma anche alcuni esponenti di destra che hanno detto che una legge del genere non era per nulla opportuna.

A quel punto, perseverare nel tenere l'assemblea in Israele avrebbe davvero significato prestarsi ad un "pinkwashing", e nessun movimento LGBT si può permettere il lusso di dare ad intendere che gli unici diritti che per esso contano sono quelli dei gay.

Va però aggiunto che il movimento LGBT arabo, pur ammirevole perché sopravvive in terribili circostanze, sta commettendo l'errore di posticipare le rivendicazioni LGBT rispetto a quelle legate alla causa palestinese; alcuni esponenti arabi hanno infatti detto che la conferenza in Israele avrebbe attizzato l'omofobia, ovvero costoro temevano di essere considerati quinte colonne israeliane, mentre altri, quando si fa notare che la vita gaya in Nordafrica e Medio Oriente è assai grama (tant'è vero che il fenomeno di chi preferisce beccarsi l'HIV anziché rischiare di farsi identificare comprando preservativi pur non essendo sposato sta raggiungendo proporzioni epidemiche), subito cambiano discorso parlando di "pinkwashing".

Il risultato è che costoro lottano solo per l'"emancipazione dei popoli", non per i diritti umani, civili, sociali e politici, di loro stessi come dei palestinesi e di tutte le persone, e se loro avessero pieno successo non farebbero che sostituire un despota con un tiranno.

Si sta svolgendo sotto i nostri occhi la "Primavera araba", e la seguiamo con simpatia, ma non è ancora garantito che il risultato finale sia la libertà e la democrazia - e questo dipende anche dal coraggio degli LGBT arabi.

Raffaele Ladu

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